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Legge salva suicidi e sovraindebitamento

Avvocato Carlo Riela > Casi e sentenze  > Legge salva suicidi e sovraindebitamento

Legge salva suicidi e sovraindebitamento

Legge salva suicidi e sovraindebitamento

Legge 3/2012 salva-suicidi.  Sovraindebitamento: cosa fare?

Sempre più spesso il nostro studio legale si trova ad assistere quanti, non essendo più in grado di far fronte ai propri debiti, vogliono ricorrere alla legge 3 del 2012 c.d. salva-suicidi.

La normativa, di particolare rilievo sociale, consente al debitore di accedere ad una procedura di esdebitazione mediante il ricorso al Tribunale e proporre ai creditori, con l’ausilio dell’organismo di composizione  della crisi, un accordo di ristrutturazione dei debiti.

Qui di seguito un breve approfondimento sulla c.d. legge salva sucidi. 

  1. Profilo soggettivo

La legge 3/2012 trova applicazione, sotto il profilo soggettivo, con riferimento alla figura del debitore e a quella del consumatore.

Con riguardo alla prima figura, la disciplina si applicherà a situazioni di sovraindebitamento non soggette ne’ assoggettabili a procedure concorsuali e pertanto imprenditori individuali e collettivi che risultino in possesso congiunto dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1 c. 2 della legge fallimentare (D.lgs. 169/2007) e quindi: a) attivo patrimoniale, negli ultimi 3 esercizi, non superiore a 300 mila euro l’anno; b) ricavi lordi, nel medesimo periodo, di ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro; c) ammontare di debiti non scaduti non superiori a 500mila euro.

Con riguardo alla seconda figura, invece, il legislatore introduce, all’articolo 6, c. 2, lettera b), il concetto di consumatore, definito come il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività̀ imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Tale specifica indicazione è da ricondursi alla volontà̀ del legislatore di distinguere nettamente la procedura relativa al consumatore, rispetto a quella prevista per tutti i restanti soggetti non fallibili. Il consumatore, quindi, può̀ essere anche un imprenditore o un professionista ma la posizione debitoria che intende sistemare attraverso la procedura in esame deve scaturire esclusivamente da obbligazioni estranee all’attività̀ eventualmente esercitata e non anche dalle predette eventuali attività̀.

  1. Profilo oggettivo

Con riguardo al profilo oggettivo, l’art. 6 c. 2 definisce il sovraindebitamento come una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio liquidabile per farvi fronte, ovvero la definita incapacità del debitore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. È sufficiente la presenza di uno dei requisiti suddetti.

Il debitore che si trovi in stato di sovraindebitamento potrà, ex art. 7, proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicurato il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili, preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori ed indichi le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le modalità’ per l’eventuale liquidazione dei beni.

È possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile. Sono esclusi, invece, i crediti riguardanti tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’I.V.A. e delle ritenute operate e non versate, per i quali il piano deve prevedere l’integrale corresponsione. Per questi è prevista solamente una dilazione di pagamento.

L’accordo è proposto con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi nella circoscrizione del tribunale in cui egli ha sede o residenza.

Le stesse previsioni si applicano anche per il consumatore, che può proporre, invece di un accordo di ristrutturazione, un piano.

  1. Organismi di composizione della crisi (OCC)

Tali organismi si pongano in una posizione di terzietà rispetto al debitore e ai creditori coinvolti nel procedimento e abbiano una posizione qualificata che consente loro di perseguire proficuamente l’obiettivo generale cui tende l’intera procedura: ovvero quello porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento.

Esso assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e all’esecuzione dello stesso e svolge un compito fondamentale nella fase iniziale di studio e di predisposizione del piano assumendo il ruolo di advisor, sia legale che finanziario del debitore. Rientrano, inoltre, tra le funzioni svolte dall’organismo: a) verificare la veridicità dei dati contenuti nella domanda e nei documenti allegati alla stessa; b) attestare la fattibilità del piano; c) trasmettere e relazionare al giudice i consensi espressi dai creditori e il conseguente raggiungimento o meno della maggioranza degli stessi, allegando le eventuali osservazioni ricevute; d) relazionare ai creditori riguardo le adesioni e il raggiungimento dell’eventuale maggioranza; e) eseguire la pubblicità della proposta e dell’accordo come disposto dal giudice; f) effettuare tutte le comunicazioni disposte dal giudice; g) risolvere i conflitti sorti con i creditori in fase di esecuzione; h) sorvegliare l’esatta esecuzione dell’accordo dopo l’omologazione.

Il legislatore ha stabilito che possono essere organismi di composizione della crisi o svolgere tali funzioni: gli enti pubblici, purché iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero di Giustizia, e professionisti o società tra professionisti (avvocati, commercialisti, ragionieri, notai).

  1. Contenuto dell’accordo o piano

Tanto l’accordo quanto il piano prevedono, ex art. 8, la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante la cessione di crediti futuri.

Per quanto riguarda questi ultimi, si ritiene che siano apprezzabili quando possono essere in qualche modo stimati, ciò̀ riferiti a dati oggettivi.

Tra questi si possono annoverare: i redditi da lavoro dipendente; i redditi da pensione; le rendite, quali affitti di beni immobili o titoli di stato.

Nel caso in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità̀ del piano, la proposta dovrà̀ essere sottoscritta da uno o più̀ terzi che ne garantiscano l’attuabilità̀.

Questa garanzia è atipica, nel senso che non deve rispettare canoni particolari. Infatti, secondo la gravità dell’incapienza del patrimonio, l’intervento del terzo può̀ configurarsi come solutorio o a garanzia.

La proposta di accordo con continuazione dell’attività̀ d’impresa e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

  1. Deposito della proposta

La proposta di accordo è depositata presso il tribunale del luogo di residenza o sede del debitore, mentre il consumatore deposita la proposta di piano presso il tribunale del luogo ove ha la residenza.

A questa deve essere allegato l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell’attestazione sulla fattibilità̀ del piano, nonché́ l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia.

Il debitore che svolge attività̀ d’impresa deposita altresì̀ le scritture contabili degli ultimi tre esercizi.

Alla proposta di piano del consumatore è altresì̀ allegata una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi.

Il giudice può̀ concedere un termine perentorio non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti.

  1. Procedimento

I soggetti a cui tale legge si applica possono accedere a una delle tre procedure che compongono la disciplina: accordo di composizione della crisi, piano del consumatore e liquidazione del patrimonio.

6.1 Accordo di composizione della crisi

La presentazione della proposta determina l’apertura di un procedimento affidato a un giudice monocratico e l’inizio di un termine di sei mesi entro il quale la procedura deve concludersi ® Il giudice, se la proposta soddisfa i sopracitati requisiti fissa immediatamente con decreto l’udienza, disponendo che la comunicazione della proposta e della sua ammissione deve essere effettuata a tutti i creditori almeno quaranta giorni prima della data fissata per l’udienza per opera dell’organismo di composizione della crisi. In ogni caso, tra la data di deposito della documentazione e quella fissata per l’udienza, non devono trascorrere più̀ di sessanta giorni.

Il giudizio di ammissibilità̀ non deve riguardare tanto la fattibilità̀ economica del piano posto a base della proposta di accordo, quanto la logicità̀ e la completezza della relativa attestazione.

Pertanto, il giudice dovrà̀ verificare i requisiti di ammissibilità̀, il contenuto del piano e la documentazione allegata.

Ne consegue che il controllo che la legge gli assegna è da ritenere prettamente documentale e di carattere sommario e non sul merito; aspetto, quest’ultimo, che è verificato negli stadi successivi. Con il medesimo decreto è inoltre stabilito che fino al momento dell’omologazione non è possibile iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, disporre sequestri conservativi e acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del debitore da parte di creditori aventi titolo anteriore. Tale sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili. ® I creditori ricevuta la proposta e il provvedimento del giudice, sono chiamati a valutarne la convenienza ed esprimere il proprio voto.

La proposta deve essere accettata da tanti creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti (i creditori che non aderiscono alla proposta devono sottostare alla volontà̀ della maggioranza e a quanto disposto dal debitore nel piano.

Tuttavia il creditore dissenziente potrà contestare la convenienza dell’accordo. In tal caso, il giudice può̀ comunque procedere all’omologazione se ritiene che il credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore a quanto risulterebbe dalla procedura alternativa di liquidazione.

La presenza di contestazioni dei creditori consente al giudice, in sede di omologa, di estendere il proprio giudizio sulla convenienza del piano).

Ai fini del raggiungimento della maggioranza, non sono computati i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca per i quali la proposta prevede l’integrale soddisfacimento (salvo che non rinuncino, in tutto o in parte, al diritto di prelazione), nonché il coniuge, i parenti e affini entro il quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta. Nell’accettazione i creditori non possono formulare variazioni a quanto proposto dal soggetto sovraindebitato, facendo quindi una controproposta ® Conseguito l’accordo l’organismo di composizione della crisi trasmette ai creditori una relazione avente ad oggetto i consensi espressi e il raggiungimento della maggioranza qualificata richiesta  ® I creditori nel termine di dieci giorni dal ricevimento della relazione possono sollevare eventuali contestazioni ® Trascorso tale termine, l’organismo di composizione della crisi trasmette al giudice una relazione allegandovi le contestazioni ricevute  e l’attestazione definitiva di fattibilità̀ del piano ® quest’ultimo esegue le verifiche necessarie per procedere all’omologazione dell’accordo, riguardanti pertanto il raggiungimento della percentuale necessaria alla conclusione dell’accordo, l’idoneità̀ del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei crediti impignorabili e di quelli tributari ® Il giudice emette provvedimento motivato che preveda l’omologazione o il diniego (i provvedimenti sono impugnabili con reclamo da proporre al tribunale)

6.2 Piano del consumatore

La presentazione della proposta determina l’apertura del procedimento e l’inizio di un termine di sei mesi entro il quale la procedura deve concludersi ® Il giudice verifica che la proposta soddisfi i sopracitati requisiti e, se il controllo è positivo, il giudice emette immediatamente un provvedimento nel quale indica la data dell’udienza, che non può̀ essere fissata oltre sessanta giorni a decorrere dal momento in cui è stata depositata la proposta. Con il medesimo decreto il giudice ordina, all’organismo di composizione della crisi di comunicare a tutti i creditori, almeno trenta giorni prima della data fissata per l’udienza (per questo procedimento la proposta e il decreto di ammissione non comportano automaticamente la sospensione od il blocco per le azioni esecutive o cautelari esperite dai creditori, ma è il giudice a valutare se, nelle more della convocazione dei creditori all’udienza di omologa, sono pendenti procedure di esecuzione forzata la cui prosecuzione potrebbe pregiudicare la fattibilità̀ del piano. Solamente in tal caso, il giudice può̀ disporre la sospensione di tali procedimenti sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo) ® in sede di udienza il giudice valuta l’approvazione del piano e, in tal senso, non è richiesta alcuna maggioranza ma vige, ponendo, quale condizione necessaria e sufficiente per l’omologa, la valutazione da parte del giudice sulla fattibilità̀ del piano riguardo ai già citati presupposti ed al complessivo atteggiamento del consumatore.

Trattasi dunque di una valutazione giudiziale di fattibilità̀ e meritevolezza.

Riguardo alla meritevolezza, il giudice esegue una valutazione discrezionale utilizzando criteri interpretativi non oggettivi, che dipendono dall’apprezzamento di volta in volta fatto dal giudice stesso e riconducibili alla presenza o meno di colpe del consumatore nella determinazione del sovraindebitamento.

In questa fase l’organo giudiziario cerca altresì̀ di risolvere ogni contestazione (ne consegue che nella procedura del piano del consumatore i creditori possono opporsi alla proposta solamente all’udienza di omologa, contestando tanto la convenienza del piano, quanto gli elementi comportamentali del debitore tali da influire sulla valutazione) ® Il giudice approva comunque il piano quando lo ritiene più̀ conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, ai fini della soddisfazione dei crediti.

Nel caso in cui, invece, il giudice non addivenga ad una valutazione di meritevolezza oppure, nel caso di contestazione sulla convenienza del piano, non ritenga che il credito possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa della liquidazione, emette un’ordinanza di diniego dell’omologazione, nella quale dispone l’inefficacia del provvedimento di sospensione delle azioni individuali eventualmente adottate precedentemente. ® Sia il decreto di omologa, che l’ordinanza di diniego, sono reclamabili davanti al tribunale competente con procedimento in camera di consiglio.

Gli effetti dell’omologazione possono distinguersi tra inibitori e obbligatori.

A proposito dei primi, dalla data dell’omologa si produce un effetto preclusivo del diritto di compiere azioni esecutive individuali.

L’effetto inibitorio suindicato viene meno nell’ipotesi di mancato pagamento dei titolari di crediti impignorabili, nonché dei crediti tributari.  Per quanto concerne la seconda tipologia di effetti, il piano omologato è obbligatorio per tutti i creditori con causa e titolo anteriore alla proposta.

6.3 Liquidazione

Coloro che si trovano in una situazione di sovraindebitamento possono, alternativamente possono decidere di accedere alla liquidazione del patrimonio.

Con la liquidazione il debitore non fa alcuna proposta ai creditori e mette tutti i suoi beni a disposizione per la liquidazione.

Quest’ultima è una procedura simile al fallimento ma, a differenza di esso, può essere messa in moto solamente tramite istanza volontaria e mai su istanza dei creditori o dei terzi.

  1. Esecuzione

Qualora la soddisfazione dei creditori sia realizzata mediante l’utilizzo di beni sottoposti a pignoramento, o se previsto dall’accordo o piano, il giudice nomina, su proposta dell’organismo di composizione della crisi, un liquidatore; mentre, nei casi in cui la nomina del liquidatore non sia obbligatoria, il patrimonio del debitore può essere affidato a un gestore.

Quest’ultimo è nominato dal giudice ed è incaricato della liquidazione, custodia e distribuzione del ricavato ai creditori. Il liquidatore opera sotto la vigilanza dell’organismo di composizione della crisi e del giudice. 

  1. Revoca, cessazione degli effetti, impugnazione, risoluzione.

Tanto il piano quanto l’accordo di composizione cessano di avere effetti nel caso di mancato pagamento, entro novanta giorni dalle scadenze previste, dei debiti verso la pubblica amministrazione e gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, nonché nel caso in cui la procedura vengono compiuti atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Al secondo comma dell’art.14-bis, sono previste ulteriori ipotesi di cessazione degli effetti dell’omologazione per il piano: a) quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo, oppure se dolosamente simulate attività inesistenti e b) quando il proponente non adempie gli obblighi derivanti dal piano stesso, se la sua esecuzione diviene impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore e, se le garanzie promesse non vengono costituite.

Con riferimento all’accordo di composizione il motivo di cui alla lettera a) costituisce motivo di annullamento dell’accordo su istanza del creditore; mentre quello di cui alla lettera b) costituisce causa di risoluzione, da proporre sempre su istanza del creditore.

Ulteriori Approfondimenti.

Concetti di ‘Squilibrio’ e ‘prontamente liquidabile’. Se il valore di realizzo della casa soddisfacesse le obbligazioni assunte in relazioni al mutuo ad essa collegato, si può parlare di insolvenza tale da attivare la procedura di sovraindebitamento?

La prima versione dell’art. 6 definiva il sovraindebitamento come “un perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni”.

L’utilizzo dell’avverbio “nonché” poteva far intendere che le due situazioni dovevano ricorrere congiuntamente per dar luogo a una situazione di sovraindebitamento.

Più probabilmente, invece, alla luce delle modifiche introdotte all’articolo in questione dal d.l. 179/2012, il legislatore si riferiva sia alla insolvenza definitiva, sia a una situazione di difficoltà, riconducibile a quella della crisi.

Tale stato di sovraindebitamento può essere intesa quale sinonimo d’insolvenza, fermo restando che è completata chiarendo che non si tratta solo della definitiva incapacità del debitore di adempiere le proprie obbligazioni in modo regolare, ma anche della rilevante difficolta di adempierle.

In tal senso, il presupposto oggettivo per l’accesso alla procedura è dato dal perdurante squilibrio tra le obbligazioni e il patrimonio del debitore, con la precisazione che quello da considerare, ai fini della procedura, è il patrimonio prontamente liquidabile, cioè quella parte di patrimonio che consentirebbe di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.

La norma non specifica cosa si debba intendere per “prontamente liquidabile” ma è ipotizzabile che faccia riferimento al termine di centoventi giorni per il quale il giudice, in assenza di iniziative in frode ai creditori, dispone che, a pena di nullità, non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disporre sequestri conservativi né acquisire diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la domanda di accordo, da parte di creditori aventi titolo anteriore.

Se ogni bene o diritto potrebbe dirsi, almeno in linea di principio, astrattamente liquidabile, è evidente che il rapporto tra esposizione debitoria e patrimonio ha un senso soltanto considerando il patrimonio agevolmente monetizzabile.

Ci si avvicina notevolmente, in tal modo, alla valutazione di tipo finanziario dell’incapacità del debitore di adempiere, mentre il legislatore ritiene opportuno aggiungere, in via alternativa e per evitare formalistiche disquizioni sulla sussistenza dei requisiti preliminari di accesso, l’insolvenza come incapacità di adempiere con regolarità.

Sembra confermarsi la tendenza dell’ordinamento ad ampliare quanto più possibile il raggio d’azione della normativa, destinata a coprire tutta l’area della crisi e dell’insolvenza che non sia già presidiata dalle procedure tradizionali, in funzione della sempre più radicata fiducia del legislatore nelle procedure negoziate di gestione della crisi.

In dottrina pertanto si osserva che non è pacifica l’individuazione di quale sia il presupposto oggettivo per l’ammissione alla procedura in parola, proprio perché la norma definisce il sovraindebitamento, oltre che nella definitiva incapacità di adempiere regolarmente le obbligazioni assunte, cioè l’insolvenza, anche nella rilevante difficoltà di adempierle. In questo senso sembrerebbe che il legislatore abbia voluto considerare quale presupposto oggettivo anche la situazione di difficoltà riconducibile a quella della crisi che precede l’insolvenza.

Sembra, dunque, esserci spazio per un’ipotesi di sovraindebitamento reversibile nel caso in cui, non essendoci ancora l’insolvenza definitiva, un tempestivo intervento di ristrutturazione del debito del sovraindebitato può consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale.

Da notare la sentenza del Tribunale Catania del 17/06/2014: È meritevole di omologazione il piano proposto dal consumatore che si sia indebitato per esigenze determinate dalla ristrutturazione della propria abitazione e dalla conseguente necessità di contrarre altre obbligazioni per far fronte ai debiti precedentemente assunti, nonché per sopperire alle esigenze di sopravvivenza dei familiari.

Gli avvocati possono essere OCC?

Avvocati, commercialisti, ragionieri, notai, al fine di svolgere i compiti dell’OCC devono avere i requisiti idonei per assumere la carica di curatore fallimentare.

Questi, se nominati dal Presidente del tribunale territorialmente competente, o da un giudice da lui delegato, possono essere, dunque, chiamati ad assolvere tali funzioni e compiti.

Parte della dottrina ritiene che, dalla lettura della norma, gli organismi di composizione della crisi possano essere costituiti soltanto da enti pubblici e non da enti privati, società o persone fisiche. Resta comunque pacifico che, in base al dettato normativo, i professionisti, o le società tra professionisti, possano dare la disponibilità a operare in seno agli organismi di composizione della crisi e svolgere le funzioni.

Avv. Carlo Riela

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